Art. 101 del Codice dei Beni Culturali 2005.
‘Si intende per ‘biblioteca’, una struttura permanente che raccoglie e conserva un insieme organizzato di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque supporto, e ne ASSICURA la consultazione al FINE di promuovere la lettura e lo studio.
LA CONSERVAZIONE ‘CONTRA LEGEM’ DEL LIBRO
Per una Cultura della Legalità e del Pubblico nel Ministero della Cultura
PARTE I – La Legge – 1. Il Regolamento delle biblioteche pubbliche statali.
Secondo la disciplina del DPR n. 1501 del 1967 le biblioteche statali erano parte del Ministero della Pubblica Istruzione. La loro funzione di fondo era quindi di essere di supporto alle ‘scuole statali per tutti gli ordini e gradi’ ed alle ‘istituzioni di alta cultura, università ed accademie’ (art. 33 della
Costituzione). La biblioteca pubblica statale era infatti uno strumento ‘per giovare agli studi’ (art. 121 del DPR del 1967), e il materiale librario che ancora oggi caratterizza le diverse sale di studio (sala Lettura, Consultazione e Manoscritti) rifletteva i diversi livelli di istruzione dei cittadini, in un epoca in cui per molti la scuola dell’obbligo era stata quella elementare e le biblioteche statali escludevano dal prestito ‘le opere di letteratura amena … reperibili in biblioteche di tipo popolare’ (art. 108).
Era compito del Direttore della biblioteca disciplinare gli accessi ad una sala piuttosto che un’altra, sulla base della coerenza del materiale librario in esse distribuito con gli studi che i potenziali ‘utenti’ stavano svolgendo. Infatti gli «utenti» sono espressamente indicati dal DPR 1501 con i termini: ‘ragazzi delle scuole, … discenti delle università, … docenti universitari, … e studiosi’. Non tutti i cittadini potevano quindi accedervi, ma solo i docenti e gli studenti che frequentavano gli Istituti Scolastici diretti dallo stesso Ministero di quelle Biblioteche.
Sono passati sette anni da quando il n. 417 del luglio 1995 ‘Regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali’ – ha abrogato il DPR n. 1501 del 1967 (vedi supplemento ordinario n. 188 alla G.U. n. 233 del 5/10/95.).
L’art. 1 del DPR 417/95 (ma già la Legge del 1975) pone le biblioteche pubbliche statali all’interno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Quindi oggi sono finalizzate a ‘promuovere lo sviluppo della cultura’ ed ‘il pieno sviluppo della persona umana’ (artt. 9 e 3 della Costituzione).
Le conseguenze pratiche sarebbero rivoluzionarie.
Come in un museo dello Stato i cittadini dovrebbero accedere liberamente al patrimonio artistico delle biblioteche storiche pubbliche e, in base ai propri personali e privati interessi culturali, dovrebbero essere liberi di spostarsi da una sala di studio all’altra a seconda del tipo di materiale bibliografico a cui sono interessati. L’unico aspetto per cui l’analogia con i musei statali non è applicabile è nel fatto che l’utente di una biblioteca storica non può restare anonimo ma deve essere identificato (art. 36), perché per leggere acquista temporaneamente il possesso del bene artistico. La biblioteca statale oggi è un Servizio Pubblico aperto a tutti i cittadini come lo è un Museo dello Stato e non può più essere riservato a determinate categorie di cittadini né all’ingresso né in alcune sue sale: sarebbe come se agli Uffizi le opere più antiche o rare fossero visibili solo a ‘docenti’ e ‘studiosi’, o il Direttore del museo autorizzasse l’ingresso in certe sale solo ai ‘docenti’ ed ai loro ‘discenti’.
A conferma di questa interpretazione nel DPR del 1995 non si trovano più le categorie di cittadini/studenti indicate nel DPR del 1967 ma semplicemente il termine ‘utenti’ (artt. 31 – 40), mentre gran parte dei suoi articoli si occupano di disciplinare nel dettaglio le registrazioni delle informazioni necessarie per assicurare che i libri non si possano smarrire o sottrarre durante la movimentazione interna e la consegna al pubblico. In particolare in Sala Manoscritti tali registrazioni sono particolarmente dettagliate: quasi ogni spostamento dell’opera deve essere documentato su appositi moduli, ed il Direttore può autorizzare la consegna di un manoscritto solo all’ ‘utente’ maggiorenne (art. 37), che giuridicamente ha la capacità di agire e quindi eventualmente risponde dei danneggiamenti causati. Allo stesso tempo però il DPR del 1995 (e la normativa introdotta dal 1990 ad oggi per modernizzazione e migliorare la qualità delle Pubbliche Amministrazioni) richiede al Direttore della biblioteca il massimo sforzo per agevolare esemplificare i servizi al pubblico, per cui il ”Conservatore’ che volesse operare nella legalità dovrebbe prendere atto che non ha l’autorità di impedire all’utente la fruizione del bene librario ma solo di disciplinarla nel modo più opportuno.
Ciò che distingue le sale ‘riservate’ – qui è la fondamentale innovazione – prescinde dalle qualità soggettive dei cittadini/utenti sono sale specializzate nel senso che richiedono attrezzature e servizi adeguati ad una corretta custodia e consultazione. Purtroppo, come ben sanno gli utenti delle biblioteche ‘pubbliche’ statali, la realtà è ben diversa.
Ancora oggi i cittadini che si avvicinano alle biblioteche pubbliche muniti del loro documento di identità possono accedere solo alla Sala Lettura, dove tradizionalmente vengono distribuite esclusivamente le opere moderne (escluse quelle collocate negli scaffali delle sale riservate), addirittura con modalità più restrittive e in numero ridotto rispetto a quanto previsto per le opere antiche e moderne distribuite nelle sale riservate.
PARTE II – La prassi contra legem – 2. Un caso emblematico della diffusa prassi bibliotecaria.
La Direzione Generale Beni Librari con un ritardo di quattro anni – e solo grazie a reiterati reclami degli utenti – ha preso atto che una Amministrazione Pubblica deve applicare la Legge e nel dicembre 2000 ha approvato il Regolamento interno che la Direzione della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ha dovuto predisporre ‘in conformità’ con i nuovi principi generali (come prescritto dall’art. 26 del DPR del 1995) .
Alla fine del 2001 la BNCF ha anche ottenuto la Certificazione di Qualità del Sistema di Gestione, secondo lo norma ISO EN UNI 9002: 1994, da un Organismo di Certificazione accreditato da (e finanziatore del suo controllore) il Sincert.
Le ISO sono solo norme tecniche, ma presupporrebbero il rispetto delle norme giuridiche del settore di appartenenza dell’Organizzazione certificata, definita ‘fornitore’ (‘4.9 Il fornitore deve individuare e pianificare i processi di produzione … che hanno diretta influenza sulla qualità ..e.. assicurare che siano attuati in condizioni controllate. Tali condizioni devono prevedere … la conformità con norme/codici di riferimento’).
Così non è stato, si è violata sia la ISO che la Legge con un Regolamento rappresentativo di un concetto distorto di ‘conservazione’ approvato dalla Amministrazione Centrale e – questa è la mia impressione – comodo per i bibliotecari delle Biblioteche storiche, se non altro perché permette di eludere le complesse problematiche della custodia e della conservazione del libro e di ridurre il carico di lavoro derivante non dalla tradizionale e tranquilla attività di catalogazione e restauro (vedi ancora l’esperienza BNCF: un’Area Digitale più che miliardaria – in lire – ‘inaugurata’ nel 1999 e l’alluvionato del 1966 entrambi ancora incompiute) ma dal crescente servizio al pubblico richiesto da utenti esigenti e sempre più ‘anonimi’, non più rappresentati dalla rassicurante cerchia di ‘facce conosciute’.
Nel nuovissimo Regolamento interno della BNCF, all’art. 3 (Accesso) si legge che ‘la biblioteca, è destinata a quanti svolgono attività di ‘ricerca’. In particolare possono accedere nelle Sale Consultazione, Musica e Manoscritti i ‘professori o studenti in possesso di una lettera di presentazione del professore’ (artt. 4 e 6).
Si fa un formale riferimento alla possibilità di avvalersi delle norme su l’autocertificazione, ma non si esplicita cosa è necessario dichiarare (ad esempio la qualità di studente).
L’utente incontra enormi difficoltà per fornire una non trasparente ‘congrua documentazione’ relativa a ‘motivate esigenze di studio o di ricerca’ (art. 4 Regolamento interno). Questo perché i compiti di garantire la custodia e controllare il materiale librario sono stati tradotti in un controllo su quali cittadini autorizzare a consultare un libro.
Ad un controllo che il Diritto Pubblico definirebbe ‘oggettivo’ ed ‘imparziale’ si è preferito un controllo ‘soggettivo’ e illegittimo in quanto ‘discriminatorio’.
Al controllo rivolto alla movimentazione dei ‘prodotti’ che la Scienza dell’Amministrazione classificherebbe come ‘tecnico- gestionale’, si è preferito un ‘controllo sociale’ basato non solo sull’appartenenza o meno del cittadino alla ristretta comunità universitaria ma addirittura sulla sua ‘cooptazione’ nella famiglia degli ‘studiosi’.
La carta di identità, la maggiore età dell’utente oppure il certificato d’iscrizione ad una scuola o università hanno un valore secondario per accedere in questa biblioteca. Il documento principale che occorre procurarsi ed esibire è la ‘lettera di presentazione del professore, che in questo contesto probabilmente ha il valore di un atto di diritto privato, e quindi è una raccomandazione istituzionalizzata.
Leggendo il regolamento si nota che neanche il possesso di particolari conoscenze scientifiche, nel nostro ordinamento giuridico attestato dai titoli di studio legalmente riconosciuti, è il criterio rilevante per avere diritto ad accedere a questo servizio pubblico. La logica di questa esclusione deriva da una prassi distorta, che trova forse origine nel DPR del 1967 abrogato nel 1995. Il titolo di studi indica che il cittadino/studente è uscito dal mondo dell’Università e della Scuola, quindi è come se improvvisamente avesse perso il diritto, le capacità e l’interesse culturale per accedere a gran parte dei beni librari di una biblioteca ‘pubblica’ ‘di conservazione’ che rifiuta di definirsi Biblioteca di Servizio.
L’amara conclusione è quindi che la riforma delle biblioteche statali del 1995 stenta ad essere applicata. L’attaccamento alla ‘tradizione’ impedisce a queste Organizzazioni Culturali di perseguire il loro fine istituzionale, ossia ‘lo sviluppo della cultura’ ed ‘il pieno sviluppo della persona umana’, determinando invece il rischio concreto di una lesione dei diritti fondamentali delle persone.
CONTINUA IN: LA CULTURA DEL SERVIZIO E LE BIBLIOTECHE ITALIANE
intervista allo storico Paul Ginsborg
…’Un’altra cosa che noi stranieri sempre commentiamo delle biblioteche italiane è l’atteggiamento gerarchizzante nei confronti degli utenti, questa separazione tra la Sala generale di lettura e le Sale riservate (cosa che esiste alla Braidense, come alla BNCF e alla Marucelliana, ma non ad esempio alla Library of Congress, dove io ho studiato accanto addirittura a dei barboni).’…
http://www.aib.it/aib/sezioni/toscana/bibelot/9903/b9903i.htm
LA FRUIZIONE NEGATA DEL LIBRO
Per il superamento della ‘logica della conservazione’
…’Il bibliotecario deve considerare il lettore un nemico, un perdigiorno (altrimenti sarebbe a lavorare), un ladro potenziale. … Il prestito dev’essere scoraggiato … i furti devono essere facilissimi. Gli orari devono assolutamente coincidere con quelli di lavoro, discussi preventivamente con i sindacati … Idealmente l’utente non dovrebbe poter entrare in biblioteca; ammesso che ci entri, usufruendo in modo puntiglioso e antipatico di un diritto che gli è stato concesso in base ai principi dell’Ottantanove, ma che però non è stato ancora assimilato dalla sensibilità collettiva (U. Eco)’..
http://xoomer.alice.it/biblaria/fruizione_negata-bsimone.htm
LINEAMENTI DI BIBLIOTECONOMIA, Carocci editore, a cura di Paola Geretto, p.274.
…’una filosofia espressa in termini candidamente eloquenti da Amalia Vago nel 1940:
‘La sala di consultazione, detta anche sala di studio, o sala riservata finalmente risponde alla
necessità di separare gli studiosi seri, che hanno bisogno di quiete e di raccoglimento, dalla massa dei lettori comuni, i quali involontariamente portano, anche solo con il loro numero e con il loro andirivieni, rumore e distrazione nella sala comune, inconveniente determinatosi anch’esso nella seconda metà dell’Ottocento, con il diffondersi e il volgarizzarsi della cultura, e l’affluire nelle biblioteche di un pubblico sempre più numeroso ed eterogeneo’..
fonte: lista AIBCUR (Associazione Italiana Biblioteche)
BNCF
La Biblioteca nazionale centrale di Firenze è un luogo surreale. Dove i diritti della persona umana non contano assolutamente una mazza, mentre i libri sono considerati entità superiori, quasi divine, da venerare e tutelare. (In realtà neppure questo è vero perchè tempo fa girava voce che alcuni cattivissimi custodi, al riparo da occhi indiscreti, prendevano a pedate i volumi nei sotterranei). La selezione del personale è praticata in base a criteri rigidissimi.
Requisiti imprescindibili per accedere al grande tempio dove tutto si conserva e niente si distrugge sono: una certa inflessibilità burocratica, una spiccata tendenza alla malvagità e una netta propensione al rifiuto. Ah dimenticavo: lamentarsi spesso è un must.
Gli studenti e i ricercatori che chiedono libri in prestito vengono chiamati utenti e sono controllati a vista. ‘Dove va con quel libro?’. ‘Di che colore è la sua tessera?’. ‘Ce l’ha il permesso?’.
‘L’altro giorno un utente mi ha detto che ero sgarbata’ si lamentava ieri una custode. “Signorina, ho pensato io che non riesco mai a tenere la botola della parolacce chiusa, l’utente la doveva proprio mandare … “
Che poi utenti – che viene da un simpaticissimo verbo semideponente latino – vuol dire ‘coloro che usano’. Non c’è niente di male. Ma a me essere chiamata utente è una cosa che mi manda fuori di testa. Poi ci sono i grulli doc: a diciotto anni fui inseguita da un custode pazzo che, con la scusa di un libro, mi perseguitava con occhiatacce e versacci. Finii davanti alla direttrice, tremante come una foglia.
Finalmente, con la scusa della tesi, riuscii a mettere le mani sull’ambitissima tessera rossa. La tessera rossa è l’unica difesa in mano al povero ricercatore. Un vero e proprio jolly.
Custode: ‘Dove va con quel libro?”. Mavi: ‘Guardi che è mio’. Custode: ‘Allora ci vuole il permesso’. Mavi: ‘Ma io ho la tessera rossa’. Oppure. Custode: ‘Può prendere solo tre libri per volta’. Mavi: ‘Ma io ho la tessera rossa’.
Il custode si ritira, come un vampiro accecato dalla luce del sole.
Infine ci sono le regole: ordini un libro alle 10.30? La consegna è per le 13. Lo ordini a 12.30? La consegna è per la mattina dopo. Vuoi in prestito un libro che hai chiesto in consultazione? Prima lo devi restituire e poi lo devi richiedere. Eppure a volte ti imbatti in qualcuno che ti commuove. Un custode che sta lì da così tanto tempo che sembra polveroso anche lui. Uno che per i libri combatte, lavora e soffre. ‘Guardi che siamo stati costretti a ridurre il servizio perchè ci hanno tagliato i fondi. Voi arrivate e chiedete, ma poi i libri vanno rimessi al loro posto, nei corridoi che sono infiniti’. Ah, dico io. E la rabbia mi comincia a smontare. ‘Guardi che un libro fuori posto è perso per sempre’. Ecco, l’immagine di quel volume smarrito nei meandri della Nazionale, mi suscita una tenerezza infinita.
All’improvviso Il custode mi sembra un elfo, un mago buono che conserva un grande tesoro in un’immensa foresta e che si trova costretto a combattere contro frotte di nemici, barbari e incolti. Tra questi, naturalmente, ci sono anch’io.“
in: http://mavicontrotutti.splinder.com/post/5899984
Berardino Simone
ex collaboratore Centro Ricerche CROGeF di Firenze – www.crogef.it –
(ex utente di biblioteche storiche ed appartenente alla Associazione Lettori BNCF. Non in possesso di lettera di presentazione).
Autore: Berardino Simone
Email: dinosimone@virgilio.it