Benvenuti turisti purché responsabili

Il turismo è considerato per definizione un’attività leggera e disimpegnata. Non a caso è ricorrente il confronto tra i viaggiatori dei secoli passati, che si suppone fossero mossi da serissime motivazioni spirituali e inesauribile sete di conoscenza, e il turista contemporaneo, che cercherebbe invece soltanto distrazioni e svago. C’è in tutto questo un fondo di verità, e molti luoghi comuni. Ma se l’ambito disimpegno può essere conseguito abbastanza facilmente nell’abituale villeggiatura o nei viaggi a corto e medio raggio, tutto cambia quando il turista lascia l’Occidente e si spinge in Paesi lontani. Il sogno di paradisi esotici sottratti alla contaminazione della storia svanisce infatti al primo contatto con la miseria, il sottosviluppo, la fame, le malattie. Il turismo è talora responsabile di gravi forme di degrado materiale e morale – pensiamo al turismo sessuale – ma più spesso il turista scopre in viaggio responsabilità e complicità dell’Occidente, le dure leggi dell’economia globale spogliate da tutte quelle regole e quei freni culturali e morali che da noi ne limitano gli effetti negativi. Particolarmente delicato è il tema del rapporto tra turismo e diritti umani, al centro di un’interessante tavola rotonda che si terrà a Milano il 7 maggio (“La coscienza degli struzzi: turismo e diritti umani”, ore 11, Palazzo delle Stelline, nell’ambito del ricco programma della Settimana del viaggio/I viaggi di Outis, che si svolgerà a Milano dal 3 al 9 maggio, www.assoexpo.com/outis); in molti Paesi infatti, anche tra quelli preferiti dai turisti, i diritti umani sono sistematicamente violati da governi autoritari e dittatoriali. Che fare? Molti turisti, da buoni struzzi, scelgono di non vedere, assecondati dall’industria turistica e dalle autorità locali. Si muovono in compatte comitive, limitando i contatti con i locali a pochi scaltriti intermediari; oppure si rinchiudono nella bolla dei villaggi vacanze, isole d’Occidente nei luoghi più remoti del mondo. Ma chi sceglie di viaggiare a occhi aperti può comunque fare molto. Ad esempio lo scorso anno ha avuto notevole successo il boicottaggio del turismo in Birmania promosso dall’Associazione italiana del turismo responsabile (per inf.: 0185773061, www.solidea.org) per protestare contro la violazione dei diritti umani; e il timore delle possibili testimonianze negative dei turisti è comunque un deterrente per i governi, che non vogliono rinunciare alla pregiata valuta straniera. Sono le difficoltà e le contraddizioni del turismo contemporaneo, almeno da quando è diventato la prima industria mondiale e si svolge su scala globale. E’ possibile superarle? Sempre più spesso una via d’uscita è ricercata nel turismo responsabile, una formula che conosce un crescente successo: dopo essere stato a lungo un fenomeno " di nicchia" , è triplicato negli ultimi cinque anni e interessa oggi 30 mila persone, tanto che l’offerta è ormai inferiore alla domanda. E anche l’Organizzazione mondiale del turismo nella riunione plenaria del 1999, svoltasi a Santiago del Cile, ha proposto per la prima volta nella sua storia, un codice di comportamento (Global Code of Ethics for Tourism) rivolto ai soggetti centrali dell’industria turistica – Stati e comunità locali, tour operator e turisti – perché un corretto esercizio del " diritto al turismo" diventi fonte di sviluppo economico e di riaffermazione delle libertà civili. Ma cos’è concretamente il turismo responsabile? Si tratta di viaggi preparati da associazioni e organizzazioni non governative secondo ben precisi criteri. Prima di partire ad esempio i viaggiatori " responsabili" hanno la possibilità d’informarsi approfonditamente sulle condizioni politiche, sociali e culturali del Paese che visiteranno. Troppi turisti infatti partono senza sapere nulla (talora nemmeno la geografia elementare); altri, è vero, studiano libri e guide con autentico furore, ma si limitano troppo spesso ai soli aspetti storici, nozioni che poi sul luogo verificano ansiosamente, gli occhi ben fissi sulla guida… Giunti nel Paese prescelto, il turista responsabile soggiorna in alberghi a piccole dimensioni, o anche presso le famiglie, per facilitare il contatto con la società che lo ospita. Infatti ognuno ha sperimentato come i viaggi " tutto compreso" non prevedano e spesso non consentano il contatto con le popolazioni e le culture locali, se non nelle forme false e stereotipate delle " manifestazioni tradizionali" (ad esempio le danze), inscenate per i turisti a ore fisse da professionisti stipendiati. E quando cerca di superare la barriera che lo separa dagli abitanti del luogo, provoca spesso conflitti, perché ignora usanze, tradizioni, regole religiose, rapporti sociali; si rende molesto fotografando tutto ciò che l’interessa, oppure si rende ridicolo intavolando penose contrattazioni per strappare sconti su prodotti " tradizionali" , fabbricati in realtà in Estremo Oriente. Il turismo responsabile permette invece di condividere la vita di ogni giorno nelle sue diverse dimensioni: il lavoro, la famiglia, la socialità. Certo, richiede di rinunciare alla fretta, e la disponibilità a mettere in discussione le immagini stereotipate degli " altri" . E mentre il turista impara a conoscere e rispettare l’ambiente e la cultura dei popoli visitati, dall’altro anche la popolazione locale apprende cultura e costumi degli stranieri. Proprio il coinvolgimento delle comunità locali, che offrono informazione, assistenza e intrattenimento, è il fondamento del turismo responsabile, il suo valore aggiunto. Nonostante questi vantaggi, il turismo responsabile non costa più di quello organizzato, anche se una parte molto maggiore dei guadagni resta alle comunità locali, anziché nelle mani delle grandi multinazionali del turismo. È insomma un turismo più impegnativo, ma anche più umano, che anziché rimuovere accetta con consapevolezza le inquietudini, i disagi e le ambiguità della nostra ineludibile condizione di turisti. Di fronte al senso della finitezza di un mondo tutto uguale che affligge il turismo globalizzato, conserva quella dimensione di scoperta e di formazione che invidiarne ai viaggi del passato.

Autore: Claudio Visentin