Archivi autore: Feliciano Della Mora

TRIESTE, Parco di Miramare. Apre il Castelletto.

Un restauro minuzioso che ha restituito il tono sobrio dello spirito cui l’edificio e il decoro delle sale sono stati improntati.
“Guardando ora il Castelletto è come se comprendessimo che da sempre così era stato e doveva essere”.
Un castello in miniatura, con un suo carattere particolare, al tempo semplice e prezioso.
Oggi viene restituito alla collettività ed ai tanti appassionati visitatori di Miramare l’edificio più antico del Parco, che ospitò Massimiliano d’Asburgo e la sua consorte Carlotta del Belgio in attesa che fosse completato il Castello, dopo un restauro minuzioso e condotto nel pieno rispetto della storia, degli stilemi costruttivi e delle caratteristiche originarie.
In scala ridotta, il Castelletto di Miramare ha lo stesso stile della dimora nobiliare voluta da Massimiliano d’Asburgo e dalla consorte Carlotta del Belgio. La memoria recente ricorda l’edificio nella sua veste di colore giallo ocra ergersi nel Parco di Miramare dominante in un punto panoramico a picco sulla baia di Grignano.
“Il Castelletto è stato trattato nel corso di questo lungo e accurato restauro come un unico pezzo da collezione – ha detto nel giorno dell’inaugurazione il direttore del Museo storico Andreina Contessa -, di cui si voleva preservare l’atmosfera elegante, semplice e intima, propria degli appartamenti privati dei giovani arciduchi che l’hanno abitato per pochi anni”.
Progettato da Carl Junker nel 1856, il Castelletto -, chiamato anche Klein Schloss o Gartenhaus -, fu ultimato in circa un anno e utilizzato da Massimiliano e Carlotta saltuariamente fino al 1860, in attesa che fosse completata la costruzione del Castello.
Negli anni successivi fu destinato a dépendance per gli ospiti: vi soggiornarono, tra gli altri, la madre e i fratelli minori di Massimiliano. Tra il 1866 e il 1867 Carlotta, rientrata dal Messico, visse qui per alcuni mesi, finché rientrò in Belgio presso la famiglia.
“Questo castello in miniatura ha un suo carattere particolare – ha aggiunto il direttore Contessa -, al tempo semplice e prezioso. Il primo piano è scrigno unico perfettamente conservato dello stile tipico della metà dell’Ottocento e del gusto eclettico del committente, con le sale nei diversi stili reinterpretati dal gusto ornamentistico dell’epoca. Si capisce perché questo luogo abbia un’attrattiva speciale per il pubblico; è un eccellente esempio di come il restauro possa essere rispettosissimo, esteticamente poco invasivo, quasi sottotraccia, eppure sappia restituire le atmosfere di cui tutti siamo alla ricerca. Non il tempo perduto, ma un tempo che ha concluso il suo corso, rimanendo però parte della storia e della cultura del luogo”.

L’edificio si sviluppa su due piani. La pianta irregolare e i quattro prospetti diversi tra loro, unitamente alla presenza di bow-window e terrazze e allo slancio della caratteristica torretta, generano un gioco di volumi particolarmente movimentato; il linguaggio architettonico è il gotico quadrato che caratterizza anche il Castello, di cui il Castelletto doveva rappresentare una sorta di versione in miniatura. Come nell’edificio principale, che però è realizzato in pietra, il colore delle facciate era chiaro, come attestato dalle foto d’epoca e dai saggi stratigrafici effettuati nell’intonaco; tale cromia è stata ripristinata con il restauro, mentre in precedenza le facciate apparivano di un colore ocra intenso che ricopriva anche parte degli elementi in pietra.
Nel corso del tempo l’edificio ha avuto varie destinazioni d’uso e ha subito diverse modifiche, pur preservando il suo originario aspetto complessivo. Le prime modifiche alla pianta avvennero già in epoca asburgica, con la modifica ad alcune partizioni interne; negli anni Trenta del Novecento il Castelletto fu destinato a museo, dove trovarono posto arredi e opere d’arte del Castello non utilizzati dal duca d’Aosta. In quell’occasione furono installati l’impianto di riscaldamento e quello elettrico, e furono eliminate le decorazioni originarie al piano terra. Nel secondo dopoguerra ospitò per un periodo la Galleria Nazionale d’Arte Antica.
Infine, in occasione della ristrutturazione eseguita nei primi anni Novanta per ospitare la sede del WWF che coordinava la Riserva Marina Protetta di Miramare, sua ultima destinazione d’uso, al piano terra furono realizzati spazi espositivi che prevedevano la presenza di ingombranti allestimenti interni la cui ha lasciato pesanti tracce negli ambienti del piano terra. Dal 2016 il Castelletto è rimasto chiuso.

“I restauri minuziosi sono spesso invisibili, restituiscono il tono sobrio dello spirito cui l’edificio e il decor delle sale sono stati improntati – ha detto Contessa a proposito dell’intervento -. Guardando ora il Castelletto è come se comprendessimo che da sempre così era stato e doveva essere.
L’intero edificio è stato rinnovato secondo i più rispettosi canoni di conservazione ispirati alla tutela e alla sostenibilità. Restituire il Castelletto a Miramare, alla città e al pubblico dei visitatori è un passo importantissimo di quel recupero e ripristino totale del comprensorio iniziato e portato avanti con irremovibile energia in questi anni. Iniziato col camminamento sopra il Viale dei Lecci, la riqualificazione del parterre, delle serre nuove (dove sono stati creati l’Orangerie e il MiraLab), del Bagno ducale, del boschetto dei pruni, del Terrazzo dei Cannoni, questo processo tocca oggi uno dei suoi apici, con il delicatissimo restauro del Castelletto, cui seguirà a breve quello delle Antiche cucine”.
L’intervento di restauro è stato avviato nel 2021 con un duplice obiettivo: da un lato recuperare la leggibilità dei caratteri originari dell’edificio, dall’altro garantirne la conservazione, la valorizzazione e il ritorno alla pubblica fruizione, anche prevedendo diversi possibili futuri utilizzi.
A questo proposito, mentre il primo piano, dato il suo pregio artistico, avrà una destinazione museale e potrà anche accogliere piccoli eventi, il piano terra ospiterà un bookshop con prodotti di alta gamma e sarà adibito ad accoglienza dei visitatori vista anche la prossima realizzazione dell’ascensore panoramico in salita da Grignano.

Le opere non hanno alterato in alcun modo le caratteristiche originarie dell’edificio e, anzi, hanno permesso di svelarne e rivalutarne le peculiarità. Grazie a questo complesso intervento gli spazi del Castelletto saranno nuovamente fruibili per il pubblico, che potrà ammirare questo ‘castello in miniatura’ con visite guidate dedicate.
Visitare il Castelletto e i “luoghi speciali” di Miramare. Il servizio sarà solo su prenotazione e per gruppi di minimo 8 persone, previo acquisto del biglietto “Miramare luoghi speciali che include anche l’accompagnamento culturale.

Info:
Biglietto Miramare | Luoghi speciali
Fornitore del Servizio: Verona83 (Concessionario servizi aggiuntivi) in collaborazione con Studio Didattica Nord Est
Luoghi visitabili: Cucine Storiche, Bagno Ducale e Castelletto, oltre a Belvedere dei cannoni e Orangerie.
Durata visita: circa 2 ore totali: > € 20 intero, adulti (quota accesso € 10 / quota visita-servizio culturale € 10)
> € 12 ridotto, per giovani 18-25 anni (quota accesso € 2 / quota visita-servizio culturale € 10)
> € 10 per bambini e ragazzi 6-17 anni (quota accesso, con aggio: € 0 / visita-servizio culturale € 10)
> Gratis per bambini <6 anni
Prenotazioni e pre-acquisto biglietti: attraverso i consueti canali (call center e on line). I biglietti dovranno essere preventivamene ritirati presso la biglietteria del Castello.
Maggio 2023 | Visite guidate al Castelletto: In occasione del primo mese dall’inaugurazione e in attesa che siano riaperte anche le Cucine storiche (e attivato il servizio “Visite ai luoghi speciali”):
> domenica 14 maggio apertura straordinaria Castelletto con visite a cura del personale del Museo, previo acquisto biglietto al Castello
> domenica 21 maggio apertura straordinaria Castelletto, con visite a cura di Studio Didattica Nord Est, previo acquisto biglietto al Castello.

In allegato, opuscolo del Castelletto: MIRAMARE_Castelletto_opuscolo

NAPOLI. Capodimonte e il mecenatismo: un modello di cui parlare di più.

Mancano poche settimane all’inaugurazione della mostra che vedrà esposti i capolavori del Museo e Real Bosco di Capodimonte al Louvre. In attesa del grande evento, la Reggia ha accolto la stampa francese per illustrare loro l’unicum che il museo rappresenta a livello italiano ed europeo, riunendo donatori e mecenati che in tanti anni hanno supportato l’istituzione, e che in diversi casi hanno proprio reso possibile la mostra tramite il restauro delle cornici delle sessanta opere in trasferta.
È qui che appare evidente, una volta di più, come il mondo stia iniziando ad accorgersi che il mecenatismo che si fa a Napoli, e a Capodimonte in particolare, sia un modello ineguagliato in Italia e all’estero, che mette in rete imprenditori ed esperti della più alta caratura, in ambito culturale e non, favorendo uno scambio che arricchisce tutti, e che porta la Reggia tra i luoghi più ambiti dove formarsi e tramite cui avere un “social impact”. Ma come è stato possibile il raggiungimento di un livello così competitivo? Tutto nasce dall’Advisory Board, uno strumento tanto utile ai musei quanto poco conosciuto in Italia.

CAPODIMONTE, ESEMPIO INTERNAZIONALE PER IL MECENATISMO
“Il Board, che nasce nel 2018 su scorta delle grandi esperienze americane, è composto da una serie di industriali e imprenditori che affiancano il direttore nelle scelte strategiche e in particolare per quanto riguarda i capitali”, racconta Giovanni Lombardi, presidente dell’Advisory Board di Capodimonte che include, oltre al direttore Sylvain Bellenger, anche Mariella Pandolfi, Amelia Grimaldi, Gennaro Matacena, Fabrizio Pascucci, Roberto Barbieri, Gianfranco d’Amato e Michele Pontecorvo. “Non solo: nel nostro caso ha avuto anche la funzione di avvicinare la città al Museo e Real Bosco, e consolidare lo stretto rapporto personale tra abitanti e istituzione”, prosegue. Non per niente sono stati avviati progetti come quello volto all’adozione di panchine e alberi del bosco, che ha avuto un grandissimo successo e una intensa partecipazione sia presso i grandi donatori sia presso i cittadini, come il gruppo di anziani che veniva a giocare qui a pallone e il marito che voleva onorare la moglie scomparsa.
Un legame, questo, che è un grande punto di orgoglio per il Board, ma anche per il museo e la città. “Nonostante io viva e lavori muovendomi tra Canada ed Europa, questa è la più interessante esperienza di collaborazione tra istituzione e persone che abbia mai visto”, racconta Mariella Pandolfi, antropologa di chiara fama, professoressa universitaria e ricercatrice. “Tutto questo è anche merito del direttore che ha scelto il gruppo d’azione – che ha una tipologia molto differenziata dal punto di vista dell’apporto a Capodimonte e dei lavori che ognuno svolge, dagli architetti ai notai – e ha avuto fiducia che cooperassimo senza competizione ma con grande rispetto reciproco. Ne sono nate varie forme di collaborazione: quella dei grandi sponsor, quella dei piccoli donor, che hanno partecipato anche alle cornici per lo scambio con il Louvre, ma anche quella che io ho amato molto della partecipazione della società napoletana, mai coinvolta prima nel mondo del Parco e del Museo. Ho spinto proprio su questa idea di implicare la società napoletana nel progetto, ancora di più per lo scambio con il Louvre: ho sentito un grandissimo orgoglio in tutta Napoli, la mia città, ed è una cosa strabiliante”. Napoli ha moltissimo da dare al mondo, questo appare sempre più chiaro: “L’Italia e Napoli possono esportare queste e altre competenze, come per la nostra alleanza con gli American Friends: in cambio di un generoso supporto al museo, delle istituzioni americane inviano qui dei giovani storici dell’arte che si formano con restauratori ma anche esperti di royalties. Queste figure poi sono richiestissime e pagate a peso d’oro: l’ennesima dimostrazione che noi sappiamo creare ed esportare competenze culturali uniche”, ricorda Lombardi.

I MECENATI E I PROFESSIONISTI CHE SUPPORTANO CAPODIMONTE E NAPOLI
Il rapporto tra Museo e Real Bosco di Capodimonte e i suoi affiliati, che siano parte del gruppo di generosi donatori o che lavorino all’interno del Board, è molto stretto, proprio personale, ed è ben più grande e antico rispetto alla collaborazione con il Louvre: “Al di là dell’entusiasmo nel sostenere Capodimonte in questo evento di grandissimo significato, io ho personalmente lavorato al restauro del 1990 come architetto, alcune cose lì realizzate sono state fatte da me – come la Galleria di Arte Moderna – e ho un legame profondo, affettivo e professionale, con Capodimonte”, racconta Gennaro Matacena, architetto e presidente della Caronte Spa. “Questo e altri elementi, come le brillanti idee del direttore Sylvain Bellenger, mi hanno convinto al cento per cento nel sostenere il nuovo progetto”. “Prima di fare l’imprenditore facevo il medico e lavoravo in una clinica vicino a Capodimonte, e andavo spesso a correre in quei giardini meravigliosi. Appena ho cominciato ad avere la capacità economica e culturale mi sono subito dedicato a dare una mano dove era possibile a Napoli, e, con la nuova gestione di Bellenger e la guida di Lombardi, appena mi è stato chiesto di partecipare l’ho fatto con enorme gioia”, racconta Giancarlo Cangiano, presidente del Porto Turistico di Capri e già vicepresidente dell’Interporto Sud Europa e vicepresidente vicario Unione Interporti Riuniti. “È un rapporto personale molto stratificato, qui ci ho portato i miei bambini a conoscere l’arte. Vedere la meraviglia che li colpisce quando scoprono Capodimonte vale sempre il biglietto. Come napoletano e industriale sono orgoglioso di fare la mia parte: non è un semplice contributo, è sentirsi parte di qualcosa di meraviglioso, e in questa occasione con il Louvre ancora di più”.
E gli aiuti piovono da ogni parte, e non solo economici: è il caso del notaio Fabrizio Pascucci, componente del CdA del museo e del Board che ha svolto attività di supporto per tutta una serie di aspetti legali legati alla gestione del museo, occupandosi tra l’altro degli atti di donazione da parte di Lia Rumma e Mimmo Iodice, e più in generale delle connessioni umani e professionali. “Essendo stato componente del CdA da prima che nascesse il Board sono stato catalizzatore di mecenati: Bellenger è straniero e inizialmente non aveva rapporti personali in città, quindi ho contribuito a raccogliere i mecenati e i professionisti che oggi fanno parte del Board, idea che il direttore ha maturato dalla sua importante esperienza in America dove ha sviluppato capacità manageriali di gestione dei beni culturali che gli hanno fatto capire l’importanza di un rapporto con i privati. L’Italia ha un patrimonio di straordinaria importanza e vastità, difficilmente può riuscire a valorizzarlo e tutelarlo al meglio senza il loro apporto. È estremamente importante incoraggiare il mecenatismo”. “L’immenso patrimonio italiano di arti e culture non può ovviamente essere finanziato e coordinato solo dallo Stato”, commenta infine Paolo Cuccia, presidente di Artribune. “L’esperienza dell’Advisory Board di Capodimonte è un esempio di grande successo che conferma la grande opportunità che il nostro il Paese deve perseguire di instaurare un rapporto sistemico tra i donor e i gestori di beni archeologici e museali. Tutto ciò è inoltre favorito dai vantaggi fiscali dell’ Art Bonus, il più vantaggioso d’Europa, e dal progressivo ampliamento delle aziende che devono produrre i bilanci di sostenibilità. Il proficuo e innovativo rapporto che il direttore Bellenger ha creato con il presidente Lombardi e i membri dell’ Advisory Board ha favorito il progetto Louvre, primo nel suo genere come hanno riconosciuto i vertici del più importante museo di Francia, e aperto anche alla collaborazione con altri primari soggetti culturali nazionali, in primis il Teatro San Carlo“.

www.capodimonte.cultura.gov.it/

Autore: Giulia Giaume

Fonte: www.artribune.com, 21 apr 2023

Michele Santulli. Picasso, il mondo.

E’ arduo imbattersi in un personaggio così universalmente conosciuto: Russell, Tiziano, Goethe non lo sono così. Forse perché personificazione della modernità: in effetti multiforme, proteiforme, non collocabile. Nessun artista al mondo è stato dotato di potenza, di immaginativa, di fantasia come Picasso. Sono oltre cento anni che occupa le prime pagine dell’arte, tutto il resto è assurdo che possa sembrare a non pochi occhi, in sostanza secondario ed epigonico.
L’arte universale, da cento anni, è racchiusa e sintetizzata in lui; è lui che è stato la molla e la porta al nuovo e al moderno in tutte le espressioni, niente è comprensibile se prima non si parte da Picasso. E’ stato di una forza produttiva fuori dei canoni, forse Matisse solo lo ha eguagliato, nel numero ma non nella qualità: chi dice cinquantamila, chi sessantamila opere, basti pensare che Van Gogh ne ha dipinto duemila, Modigliani mille, Corot poco più di tremila. Una volontà e un vigore unici: “quando dipingo lascio il corpo fuori la porta, come i musulmani le scarpe fuori della Moschea”, “Dipingere è per me una lotta all’ultimo sangue. Sì, all’ultimo sangue, come nell’arena”, ”Non c’è mai la fine, ogni opera è altra dalla presente e sempre superiore”, “Io non cerco, io trovo”. Questi sono alcuni dei suoi pensieri quasi rivoluzionari come registrati da una sua esegeta (A. Huffington, Picasso creatore…).
Tutte le tappe della storia dell’arte sono state da lui percorse, una perpetua continua evoluzione ed elaborazione, tappe che segnano riferimenti significativi; periodo blu, periodo rosa, il cubismo, il mondo successivo, quello iniziale: i fenomeni e apparizioni artistici o sedicenti tali del secolo trovano i loro princìpi ispiratori in Picasso: come era regolarmente alla prima fila in ogni manifestazione di piazza organizzata dal Partito Comunista francese, così è sistematicamente in prima fila nei fatti d’arte.
Amava le donne, era quanto lo implicava maggiormente, avendone però grande rispetto: “Le donne… non dobbiamo vederci troppo spesso. Perché le ali di una farfalla mantengano la lucentezza, non bisogna toccarle”.
Altro sensibilissimo interesse, i soldi. Non esiste artista che abbia accumulato in vita tanta ricchezza come Picasso! Intelligente, attento, venditore inimitabile del proprio lavoro, non si contano i suoi clienti personali e quanti libri e monografie sulla sua persona e arte. Alla sua morte notai e legali per molti giorni occupati ad inventariare soldi, quadri e proprietà: molte centinaia di milioni di Euro accumulati in contanti, in titoli e in oro e migliaia, pare 1500, opere lasciate ai fortunati eredi.
All’età di poco più di venti anni, a Montmartre a Parigi, un giorno era tanto disperato e affamato che vendette il capolavoro inaudito “La Fillette à la corbeille fleurie” in inglese “Young Girl with a Flower Basket” per 75 Franchi allo spietato mercante, il prezzo cioè di uno scarabocchio o di una crosta! Le opere di Monet e degli impressionisti costavano 3.500 Fr! Era il 1905, grande fame. Siamo agli inizi del periodo rosa, Il quadro fu acquistato giorni dopo per 150 franchi dai fratelli Stein, gli scopritori americani delle opere di Picasso e di Matisse e primi compratori, con dileggio e sorrisetti beffardi dei cosiddetti cultori che nulla capivano della rivoluzionaria novità del messaggio: questa medesima opera è stata venduta recentemente per cento milioni di dollari! Altro capolavoro incredibile del medesimo anno sul quale anche attiro l’attenzione del lettore (nella rete le immagini) è un quadruccio “Le garçon à la pipe”, acquistato da un banchiere tedesco ebreo e poi in un’asta recentemente venduto a oltre cento milioni di dollari. Questi due capolavori indescrivibili si innestano subito dopo una ulteriore opera dell’artista che pure segna il suo diritto alla eternità e su cui pure attiro l’attenzione del lettore “Les Noces de Pierrette”, tra periodo blu e periodo rosa, sulla quale lascio il lettore esprimersi.
Tutto è grande con riferimento a Picasso, non si tema di esagerare, e lo sarà sempre di più perché ha scoperto il linguaggio universale! Una quantità enorme di opere realizzate, in ogni tecnica era eccellente, nella pittura, nell’incisione, nella scultura, nella decorazione: ogni opera un messaggio. Quanto anche è eccezionale e primario è il fatto che non si troverà mai un’opera uguale a un’altra cioè una copia o una replica: tutto è originale, sempre, per principio, non solo etico, non solo artistico. “Ciò che si farà è più importante di ciò che si è fatto”. Una delle sue realizzazioni, quando in Costa Azzurra impegnato profondamente per alcuni anni, fu nella decorazione e anche nella realizzazione vascolare e anche in tale fase rifulsero le sue innate qualità: produzione elevatissima di migliaia e migliaia tra vasi e piatti e brocche decorati e non se ne troverà una uguale all’altra sia nelle forme sia nella decorazione! Una miniera senza fine di immagini e di illustrazioni, quasi da far paura.
Lo stesso nella sterminata produzione di pitture non se ne troverà mai una replica o una copia. Nella incisione e calcografia fu al massimo livello per qualità e per varietà dei soggetti: occorreranno anni e anni per conoscere Picasso. Succube solamente alle sue intuizioni ed emozioni, ma non dimentico talvolta anche di qualche fatto sociale che lo colpiva particolarmente e di questi ve ne sono almeno due evidenti: la guerra civile nella sua Spagna del 1936 e l’esperienza anni prima, nel 1917, allorché a Roma per conto del grande Diaghilev. E qui anche lui fu colpito dalla presenza delle ciociare nei loro sfolgoranti costumi in Piazza di Spagna e nel tempo ha realizzato almeno ventidue acquarelli e disegni tra cui anche un olio clamoroso di ciociara nel suo costume multicolori, addirittura in stile cubista! oggi in una famosa collezione di Zurigo.
L’occasione delle presenti note è il cinquantenario della morte dell’artista (era nato nel 1881) avvenuta nel 1973 vicino a Cannes dove viveva con la sua amata donna, Jaqueline, la quale concludeva i suoi racconti con queste parole: “quando si ha la fortuna di vivere con Picasso davanti a sé, non si guarda al sole”. Quale donna ha espresso mai un tale giudizio sul proprio uomo? Solo Giovanni Capurro, il povero poeta napoletano, può uguagliarlo allorché cinque-sei anni prima di “La Fillette à la corbeille fleurie” aveva scritto, e un altro poeta immortalato in musica, O sole mio sta in fronte a te! A questo proposito, Napoli, viene in mente il suo sarto dell’ultimo periodo della sua esistenza in Costa Azzurra, un napoletano del Matese, che gli forniva di solito abiti di velluto che l’artista prediligeva e che in cambio, anziché soldi, riceveva opere d’arte in pagamento e oggi gli eredi sono ricercati galleristi in Nizza!
Un prodigio in ogni aspetto della sua esistenza: saggio e maturo e padrone di sé, come pochi. Anche egotico e individualista e egocentrico, solo pittura e donne e soldi!
Uno studioso da anni sta procedendo alla catalogazione della sua opera, fino ad oggi ha pubblicato in formato in folio, cioè gigante, quasi cinquanta volumi e non ha finito!

Autore: Michele Santulli – michele@santulli.eu

 

MILANO. Diego, l’altro Giacometti.

Fino al 18 giugno 2023 Fondazione Luigi Rovati ospita la mostra “Diego, l’altro Giacometti”. Curata da Casimiro Di Crescenzo, la mostra è organizzata in collaborazione con PLVR Zurigo. Oltre sessanta opere tra sculture, arredi, piccoli animali e maquettes rappresentano le declinazioni del lavoro scultoreo e di design di Diego Giacometti e si inseriscono nell’allestimento permanente del Museo d’arte, nella prospettiva di un dialogo con l’arte etrusca.
Prima mostra in Italia interamente dedicata all’artista svizzero, accoglie opere provenienti dagli eredi di Diego Giacometti, dalla Fondation Giacometti di Parigi, dall’Alberto Giacometti Stiftung – conservata presso la Kunsthaus di Zurigo -, dal Musée Picasso-Paris di Parigi e da collezioni private.
Considerato da molti l’altro Giacometti, Diego (1902-1985) era fortemente legato ad Alberto (1901-1966). I due fratelli vivono in un rapporto simbiotico nei quaranta anni passati insieme a Parigi. Nonostante le assonanze formali tra le loro opere, Diego sviluppa uno stile artistico originale, caratterizzato dall’amore per la natura e gli animali. Quella di Diego è una produzione dallo stile immediatamente riconoscibile, che prende ispirazione dall’archeologia e dalla mitologia, combinate con elementi naturalistici e, anche, surreali. Gli oggetti prendono vita e acquistano una propria personalità. Le opere esaltano l’essenzialità della forma, le proporzioni perfette e il sottile gioco di equilibrio tra le diverse componenti.
L’opera di Diego è espressione dell’arte del XX secolo, in cui l’estetica e la funzionalità si fondono in modo armonioso. Le sue sculture in bronzo sono capolavori di elaborazione creativa e tecnica, in cui ogni dettaglio è curato con estrema precisione; i suoi mobili sono progettati per essere utilizzati come sedute o come tavolini, ma allo stesso tempo sono opere d’arte uniche e ricercate.
La mostra si sviluppa in quattro temi, approfonditi nel catalogo:
Tra scultura e design. Si evidenziano propensione, vocazione e talento di Diego per la tecnica scultorea, che apprende lavorando con Alberto influenzato dal clima artistico della Parigi degli anni ’20 e ’30. Insieme collaborano con il celebre designer francese Jean-Michel Frank, che inaugura la propria boutique nel 1935 in rue Faubourg Saint-Honoré: di quella inaugurazione resta una foto in cui con Frank compaiono Diego e Alberto. Si delinea in questo periodo quella propensione creativa che porterà alla realizzazione di sculture e degli oggetti decorativi dei mobili in bronzo.
Mobili e oggetti. Sono il fulcro della sua originale e raffinata produzione di design. Il suo lavoro si esprime nella capacità di integrare arte e funzionalità, creando opere che sono anche oggetti d’uso. La tecnica di Diego Giacometti è molto complessa: dallo schizzo su carta realizza una versione dell’oggetto in cera o in gesso, così come in gesso esegue i suoi elementi compositivi, prima del passaggio alla forma definitiva in bronzo, realizzata attraverso il processo di fusione. Provvede personalmente a montaggio, saldatura e fissaggio, per poi terminare con la tecnica di cui è maestro: la patinatura.
Bestiario. Gli animali sono per l’artista non solo soggetti da rappresentare, ma amici e compagni di vita; non solo creature vive, ma un vero e proprio mondo fantastico di cui si è sempre interessato sin da bambino nei boschi dei Grigioni, così come da adulto a Parigi: dal cucciolo Rigolo, al ragno che tesseva la tela nel suo studio, alla volpe Misrose, alla gatta Fofa. Insieme a Rembrandt Bugatti, Diego Giacometti è uno tra i maggiori interpreti della rappresentazione artistica degli animali, un importante filone di ispirazione per molti scultori nella Parigi degli anni ’30.
Diego come modello. Lo Spazio Bianco raccoglie una serie di ritratti di Diego: Diego, nourrisson, dipinto dal padre Giovanni nel 1902, Tête d’homme (III). Diego eseguito nel 1965 dal fratello Alberto. La Tête de Diego del 1914-15, in gesso, è la prima scultura realizzata da Alberto ed è contrapposta al bronzo Tête de Diego del 1937. Buste mince sur socle (Aménhofis), del 1954, è tra le prime opere in cui Alberto, attraverso la forte compressione della larghezza del volto di Diego, presenta allo spettatore due diverse e opposte visioni del modello, lati che non sono visibili nello stesso momento e che portano quindi ad una visione pluridimensionale.
Tra le opere più significative in mostra: Lionne del 1931, prima scultura di Diego; Testa di leone del 1934, possente lavoro in pietra, che per anni fu visibile all’ingresso della casa di famiglia a Maloja, prestito dall’Alberto Giacometti-Stiftung; Table basse “Carcasse” modèle à la chauve-souris del 1975 e Console “La promenade des amis” del 1976, tra le opere più rappresentative del lavoro artistico di Diego; Torchère, maquette demi-grandeur del 1983-84, un modello utilizzato per il Musée Picasso-Paris di Parigi.
Nell’ingresso del piano nobile Lanterne à quatre lumières del 1983, creata per la filantropa e collezionista americana Rachel (Bunny) Lambert Mellon.
Infine, per la prima volta vengono esposti i tre Oiseaux creati nel 1942 per il salotto dell’appartamento di Francis Gruber, lo Specchio del 1942, nato da una fantasia barocca, la Mano del 1942-1944, e l’Applique aux panthères, un tempo collocata nella casa dell’artista in rue du Moulin-Vert a Parigi.

Casimiro Di Crescenzo, curatore della mostra, racconta: Questa mostra è stata l’occasione per approfondire l’opera di Diego e la sua relazione personale ed artistica con il fratello Alberto attraverso lo studio della corrispondenza con la famiglia. Il parallelismo biografico tra Diego ed Alberto consente di comprendere la genesi e l’evoluzione artistica di Diego e ne conferma l’assoluto talento.
Sottolinea Giovanna Forlanelli, Presidente della Fondazione Luigi Rovati: La scelta di ospitare per la prima volta in Italia Diego Giacometti nel museo della Fondazione Luigi Rovati è motivata dalla forte ispirazione che l’artista trae dall’arte etrusca. Dal piano ipogeo al piano nobile, le opere di Diego si inseriscono nel percorso permanente, nel dialogo continuo fra antico e contemporaneo, dimensione identitaria del nostro Museo d’arte.

La mostra è accompagnata dal catalogo “Diego, l’altro Giacometti” a cura di Casimiro Di Crescenzo e pubblicato da Fondazione Luigi Rovati, disponibile allo shop del Museo e online (museo.fondazioneluigirovati.org/it/shop).

Il sabato sono previsti laboratori per avvicinare i più piccoli alla scultura di Diego Giacometti.
La scultura tra forma e materia. Laboratorio bambini tra i 6 e gli 11 anni
Terracotta, gesso e bronzo sono alcuni dei materiali con i quali Diego Giacometti dava forma alle sue creazioni e plasmava le sue sculture: dopo la visita alla mostra, immaginiamo di entrare nel suo atelier per capire come lavorava e realizziamo una scultura traendo ispirazione dal mondo vegetale che tanto amava.

Sabato 29/4 e 27/05, ore 16, durata 90 minuti. Costo 20 euro: con il biglietto per il laboratorio è incluso l’ingresso per un adulto
Il laboratorio si effettua con minimo 4 partecipanti; in caso di annullamento per mancato raggiungimento del numero minimo il biglietto è automaticamente valido per una data successiva a scelta.

Nell’atelier di Giacometti, animali d’artista. Laboratorio bambini tra i 6 e gli 11 anni
Cani, gatti, uccelli, topi popolano le creazioni di Diego Giacometti, che amava osservare gli animali sia dal vero sia su libri illustrati. Dopo la visita alla mostra, con matite, colori, carte colorate e di diverse consistenze, i bambini progettano un oggetto nel quale gli animali sono i protagonisti.
Sabato 15/4 e 13/5, ore 16, durata 90 minuti. Costo 20 euro: con il biglietto per il laboratorio è incluso l’ingresso per un adulto

Visita guidata alla mostra: ogni mercoledì alle ore 11, Costo: 20 € (include il biglietto di ingresso all’esposizione e al Museo) – prenotazioni@fondazioniluigirovati.org.

Info:
Fondazione Luigi Rovati, Corso Venezia 52, Milano, fino al 18 giugno 2023
Orari di apertura Museo d’Arte: da mercoledì a domenica, dalle ore 10.00 alle 20.00 (ultimo ingresso ore 19.00)
Tariffe ingresso sul sito www.fondazioneluigirovati.org. L’esposizione è inclusa nel biglietto d’ingresso al Museo
Padiglione e giardino sono aperti gratuitamente da mercoledì a domenica, dalle 10.00 alle 20.00.
Lo shop è aperto dal mercoledì alla domenica dalle 10.00 alle 20.00.

ROMA. Pericle Fazzini, lo scultore del vento. In mostra al Museo Carlo Bilotti.

Pericle Fazzini (nato nel 1913 morto nel 1987), torna a Roma dopo trent’anni, in occasione dei centodieci anni della nascita. Torna “lo scultore del vento”, come lo definì il poeta Giuseppe Ungaretti, con una mostra promossa da Roma Culture, Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dalla Fondazione e Archivio Storico ”Pericle Fazzini”. Una grande rassegna che ripercorre tutto il suo iter creativo costituita da un centinaio di opere fra sculture, disegni e grafiche. E bozzetti inediti che documentano la partecipazione di Fazzini al concorso bandito nel ‘58 per il monumento a Auschwitz, realizzato poi da Cascella, che aveva fra i giurati anche Henry Moore. La mostra è curata da Alessandro Masi con la collaborazione di Roberta Serra e Chiara Barbato (catalogo De Luca Editore d’Arte).
Marchigiano di Grottammare, Pericle Fazzini autore fra i più rappresentativi della “Scuola Romana” è figlio d’arte, l’arte dell’intaglio del legno di cui il padre è maestro. Il primo a intuire il suo talento è Mario Rivosecchi con il quale nel ’29 giunge a Roma, che sarà la sua città d’elezione fino alla fine.
Partecipa al concorso del Pensionato Artistico Nazionale che gli assicura un mensile per due anni e l’uso di uno studio a Palazzo Caffarelli sul Campidoglio. Nel ‘33 lo vince con il bassorilievo sul tema biblico “Uscita dall’Arca” e con “Donna nella tempesta” che verrà esposta alla collettiva del Circolo delle Arti e delle Lettere. Descritta da Cipriano Efisio Oppo come “una scultura tipica dell’originalità che già dimostra il Fazzini” viene presentata alla prima grande retrospettiva romana di Fazzini a Palazzo Barberini nel ’51.
La prima mostra, insieme all’amico Alberto Ziveri e a Giuseppe Grassi, è presso la galleria di Dario Sabatello a cui dedicherà un celebre busto in terracotta. E’ subito denso di incontri e esperienze il periodo romano: scopre le chiese barocche e il giardino zoologico. Sono gli anni della “Scuola Romana” il cenacolo di artisti nato sulla scia del gruppo di via Cavour. Sono loro a popolare il centro e a condividere gli interessi per la vita della città eterna. Artisti come Emanuele Cavalli, Giuseppe Capogrossi, Corrado Cagli, i fratelli Basaldella. E poi c’è sempre Grottammare il luogo mitico della memoria dove poter tornare.
Densa di significato e ricca di sviluppi l’amicizia con i poeti. Tramite Giuseppe Ungaretti, Fazzini conosce Marguerite Caetani che lo inserisce in una grande collettiva parigina dove il suo “Ritratto di Anita” viene acquistato dal Museo del Jeu de Paume. E’ un crescendo di successi. Espone alla Quadriennale di Roma, alla Biennale di Venezia, alle mostre di “Corrente”, collabora a “Primato”, “Documento”, “Domus”, al “Fronte Nuovo delle Arti” insieme a Leoncillo e Emilio Vedova. Il suo bassorilievo “La danza” viene acquistato da Curzio Malaparte per la sua villa di Capri progettata da Adalberto Libera. E non si contano i premi, le personali, i riconoscimenti internazionali, da Monaco a Parigi, a Tokyo, a Chicago. Le sue opere sono conservate nei maggiori musei del mondo. E poi ci sono le sculture monumentali. La “Resurrezione” per la Sala delle Udienze realizzata da Pier Luigi Nervi è fra le imprese più complesse e lunghe della sua attività artistica.
La mostra si snoda sui due livelli del Museo Carlo Bilotti in un alternarsi di opere di diversa natura, legni, bronzi, gessi, dipinti, grafiche, accompagnati da pannelli esplicativi chiari e leggibili, così come le singole didascalie. Alcune opere sono famosissime come “Ragazzo con gabbiani” in legno, che l’artista non volle mai cedere, considerata il simbolo della sua scultura del vento, al limite fra la terra e il mare, fra la terra e il cielo.
“Era un giorno che passeggiavo lungo il mare e c’erano i gabbiani, che volavano vicini, ed io raccoglievo sassi, conchiglie lungo la spiaggia, cose che poi disegnavo e così m’è nata l’idea del ragazzo che cammina e raccoglie qualcosa in terra e i gabbiani gli volano intorno, sulla testa”, raccontava l’artista in una tarda intervista.

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In mostra una selezione molto ricca di bronzetti, per lo più atleti, danzatrici, gatti che giocano… di dimensioni contenute ripresi in pose articolate o in movimento. Sono “Nudo”, ”Ginnasta”, “Ragazzo che ascolta”.”Donna che si guarda il piede”…
Fazzini vi si dedica fin dagli anni della guerra sia come fonte di sostentamento economico che di sperimentazione pratica, recuperando l’antica tecnica a cera persa. Per Raffaele Carrieri erano “eruzioni vulcaniche, piccoli bronzi appena usciti di fusione, danzatori, nudi che si mantenevano su un piede, vivissimi gnomi di una mitologia acquatica”. E lo scultore continua a farli anche negli ultimi anni, nel suo studio in via Margutta.
Un tema molto sentito da Fazzini è quello sacro che attraversa tutta la sua produzione. In mostra una serie di opere che preludono alla realizzazione della “Resurrezione” della Sala Paolo VI in Vaticano, come il “Cristo” con le braccia sollevate verso il cielo della “Fonte pasquale”. Anche il tema francescano è molto caro all’artista come appare nel bozzetto per il monumento a San Francesco e in “Francesco che parla e accarezza il lupo” che si riallaccia al. capitolo XXI dei “Fioretti”.
Già dalla metà degli anni Sessanta, nel suo studio in Via Margutta, vedono la luce le prime intuizioni plastiche del suo capolavoro, voluto da Paolo VI, Papa Montini, all’indomani del Concilio Vaticano II nel 1965, e inaugurato nel 1977. La “Resurrezione”’, l’ultima grande opera monumentale commissionata dalla Cappella Sistina ad oggi, vista da milioni di pellegrini, fu un lavoro immane, di grandissimo impegno. Anche per le dimensioni: venti metri di lunghezza per sette di altezza e tre di profondità. Colpito da una trombosi poco dopo, l’artista continuerà a lavorare dedicandosi in particolare alla creazione di pastelli e piccoli bronzi.
Il bozzetto della “Resurrezione” in mostra fa parte di una ricca serie di disegni preparatori e studi scolpiti prodotti negli anni di laboriosa ricerca di una forma monumentale. Il Salvatore, spinto dal vento, trionfante sulla morte, si staglia fra le trame di un fondale vegetale. composto da un groviglio di rami e saette. E’ la rinascita di Cristo, immerso nel giardino del Getsemani, sconvolto dall’esplosione devastante di una bomba atomica, ricordo di Hiroshima e Nagasaki. Nella sala precedente un dettaglio a grandezza naturale del “Volto del Cristo” dà l’idea della potenza dell’immagine e delle dimensioni monumentali dell’opera. La fusione sarà realizzata in una lega di bronzo rosso e ottone giallo e richiederà l’impiego di quattrocento quintali di metallo.

Info:
Roma, Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese. Fino al 2 luglio 2023
martedì – venerdì ore 13.00 – 19.00; sabato e domenica ore 10.00 – 19.00. Ingresso gratuito

Autore: Laura Gigliotti

Fonte: www.quotidianoarte.com, 1 apr 2023