Autarchia grande nemica dei nostri beni culturali

II mercato dell’arte è inquinato da molti fattori negativi che ne frenano l’espansione. Colpisce in primo luogo la scarsa professionalità di molti mercanti, alcuni dei quali sono del tutto improvvisati, quando, addirittura, non " clandestini" : essi introducono una grande incertezza sulla qualità e sul valore dei beni che trattano e questa allontana dal mercato molti possibili utenti, specie quelli alle prime armi. A questo si combina la presenza di critici d’arte mistificatori, che, dietro compenso in denaro, rilasciano autentiche ove si certifica, in maniera fraudolenta, la paternità dei beni culturali sottoposti a giudizio. Non è raro il caso che simili imbroglioni conquistino la fiducia di collezionisti e consiglino loro l’acquisto di autentiche raccolte di croste e ciarpame, prive di ogni effettivo valore venale.

Si potrebbe continuare, ma i fenomeni appena elencati sono tutti contrastati dalla legge: le autentiche fraudolente costituiscono, infatti, vere e proprie ipotesi di reato e la legge sul commercio impone anche ai mercanti d’arte di esercitare la loro attività al riparo di una licenza, rilasciata previo esame. Non vi è per ora difesa, invece, contro il fattore più grave che turba il mercato italiano dell’arte: una legislazione di tutela che impedisce, di fatto, qualsiasi esportazione dall’Italia dei beni culturali che risalgano ad oltre cinquanta anni e siano opera di autori non più viventi: in pratica, la quasi totalità dei beni culturali presenti nel nostro paese.

La legge fondamentale in materia di tutela (n. 1089 del 1939o Legge Bottai, oggi rifluita nel T.U. dei beni culturali, D.Lgs. 490/99) subordina l’esportazione di un bene culturale con le caratteristiche sopra indicate al permesso rilasciato da un " Ufficio Esportazione" : di tali uffici in Italia ve ne sono 19, con diverse competenze territoriali. La legge recita che il permesso è rilasciato solo se l’uscita del bene dal territorio dello Stato non rechi danno al patrimonio storico artistico italiano.

Dunque, la norma non farebbe che applicare un principio fondamentale della nostra Costituzione, proclamato nell’articolo 9, ove è prevista la tutela della nostra identità storica e artistica. Di fatto, però, nella prassi applicativa seguita dagli Uffici Esportazione, il danno è ravvisato sempre e comunque, anche se le opere da esportate non si inseriscono nella nostra tradizione culturale o costituiscono episodi marginali e del tutto trascurabili di quest’ultima.

Contro questa prassi applicativa della legge non vi è attualmente alcuna tutela, perché la decisione dell’Ufficio Esportazione – se motivata in forma appena corretta e logica (la cosa non è assolutamente difficile, anche con il ricorso ad autentici stereotipi) – si sottrae all’unico controllo ammissibile, quello di legittimità del giudice amministrativo (il ricorso gerarchico attualmente previsto non smentisce mai il parere dell’Ufficio Esportazione, anche per l’assenza di disposizioni da parte del Ministero). Si badi: il permesso dell’Ufficio Esportazione deve sussistere anche nel caso della cosiddetta «spedizione» all’interno dell’ Unione Europea, perché il trattato fondamentale afferma il principio della libera circolazione della mercé all’interno della stessa Unione ma prevede un’eccezione nel caso di tutela del patrimonio storico artistico di ogni paese membro, che tale tutela disciplina come meglio crede. La conseguenza è che l’Italia si è ormai da tempo avviata ad una politica di vero e proprio «embargo in uscita» dei beni culturali, impedendone indiscriminatamente l’avvio verso i mercati internazionali, ove èssi potrebbero essere adeguatamente valorizzati, sia in senso storico artistico che in quello mercantile.

Ho avuto occasione di presiedere un gruppo di studio costituito presso il ministero dei Beni Culturali, proprio al fine di avviare una revisione della normativa che disciplina l’esportazione dei beni culturali. Il gruppo ha concluso i suoi lavori a febbraio elaborando cinque proposte di alto pregio. L’augurio è che siano adeguatamente esaminate e soprattutto, che determinino l’inversione dell’attuale politica «autarchica». A quel momento potrà dirsi che anche il mercato italiano dell’arte, inserito in una realtà internazionale, potrà non solo irrobustirsi ma trasmettere un’immagine più moderna del nostro paese.

Autore: Fabrizio Lemme

Fonte:La Stampa