Archeologi delle fabbriche

Dopo decenni di indifferenza e talvolta di oscurantismo, l’archeologia industriale sta vivendo un periodo di crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica, e può vantare successi notevoli nel riuso di edifici e capannoni, nel recupero urbanistico di grandi complessi produttivi e nella salvaguardia di macchinari e archivi aziendali. Anzitutto, cosa si intende per " archeologia industriale" ? " E’ la memoria dell’industrializzazione" , dicono i più categorici; " è la materia che si occupa di preservare le testimonianze dei processi produttivi del passato" , affermano i più avvertiti. In realtà, di definizioni ne sono state date molte, a partire da quella coniata nel 1957 dal " Council of British Archaeology" ; e sono tutte più o meno accettabili purché la loro interpretazione tenga conto della molteplicità di fattori – scientifici, storici, sociali, letterari, artistici, economici, ambientali – che sono parte legittima della materia. Purtroppo ancora oggi molti ritengono inconciliabile il connubio tra scienza e umanesimo: e altri sono convinti – a torto – che i contenuti culturali di questa disciplina si esauriscano nella valenza architettonica (quella dei " contenitori" ) ignorando o mortificando i contenuti tecnici dei processi e dei mezzi di produzione, ossia gli elementi indispensabili per una lettura organica del contesto originario.Per il nostro Paese, il compito di definire i campi d’azione e le strategie da seguire era stato affidato dal ministero dei Beni Culturali a una Commissione nazionale creata nel 1994. Tre anni dopo, quest’organismo ha cessato di funzionare senza aver potuto fornire gli attesi riscontri, e lasciando un vuoto che non e stato ancora colmato. Sulla necessita di un intervento in questo senso si e discusso nel convegno sui " Beni culturali della civiltà industriale" organizzato da Icsim (Ist. Momigliano per la cultura d’impresa) e Aipai (Ass. per il patrimonio archeo-industriale) tenutosi a Terni dal 28 al 30 settembre, presenti i sottosegretari Enrico Micheli e Giampaolo D’Andrea. Altro argomento di dibattito e stato quello della legislazione riguardante i beni culturali: il parere più condiviso e quello che auspica il ruolo-guida dello Stato, garantendo l’autonomia regionale ed il rispetto delle caratteristiche territoriali attraverso strumenti operativi omogenei. Si e detto che, nella formulazione dei Piani regolatori, la tutela dei beni archeologici industriali non deve essere considerata come un elemento di disturbo ma come un arricchimento sostanziale della progettazione. Per il recupero delle grandi aree impiantistiche dismesse (che in Italia occupano circa 46.000 ettari) si avverte l’opportunità di attivare procedure partecipative, coinvolgendo capitali privati e dando la preferenza ad installazioni produttive o, comunque, capaci di trasformare un onere in una risorsa. Altra chiara esigenza e quella di tutelare il paesaggio nella sua essenza e nel suo contesto. Ovviamente, non tutto si può (o si deve) salvare ma gli interventi di recupero devono, in ogni caso, evitare di cancellare o di falsare le testimonianze dell’attività industriale preesistente. Buona parte di questi concetti è in accordo con i risultati del convegno 2000 dell’International Committee for the Conservation of the Industrial Heritage tenutosi a Londra all’inizio di settembre; dimostrando che le molte realizzazioni in corso nel mondo (ricordiamo soltanto quella del recupero del grande bacino della Ruhr, in Germania) seguono, ormai, una filosofia che si va consolidando. Un argomento che, per la sua vastità non ha trovato spazio nel nutrito programma del convegno di Terni, è quello della formazione degli archeologi industriali. I docenti delle prime cattedre di archeologia industriale (sorte sin dal 1995 nelle Facoltà di Beni Culturali delle Università di Lecce e Viterbo) hanno dovuto definire autonomamente il proprio indirizzo metodologico; ma il poter accreditare una metodologia pedagogica razionale, riguarda, ora, anche altre cattedre sorte di recente e dovrebbe armonizzarsi con il nuovo ordinamento universitario. In sintesi, l’archeologia industriale soffre di alcuni mali di crescita che occorre rimediare al più presto. Speriamo che lo si faccia nello spirito che gia fu del poeta-ingegnere Leonardo Sinisgalli.

Autore: Gino Papuli

Fonte:La Stampa