Tra i nomi illustri che hanno scritto nei secoli la storia di Urbino, Federico Barocci (Urbino, 1535 – 1612) ha oggi un posto rilevante. Quasi dimenticato nel periodo delle Avanguardie, è stato oggetto di una riscoperta che ha contribuito a ristabilirne la fama presso la critica.
La grande mostra (fino al 6 ottobre 2024) Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna, organizzata dalla Galleria Nazionale delle Marche, prosegue su questo percorso, offrendo al pubblico un’occasione di riscoprire un pezzo di storia della città, del Museo e di questo artista che celebrò le glorie del crepuscolo del Ducato. Dopo più di 110 anni da quando il fondatore della Galleria, Lionello Venturi, espresse per la prima volta l’intenzione di fare una simile esposizione, la promessa diventa realtà: grazie a prestiti nazionali e non, le 76 opere qui riunite illustrano tutta la carriera di Barocci, il pittore della Cristiana Letizia, nonché erede – mancato, per quel che riguarda la scena romana – di Raffaello.
La ricca rassegna al Palazzo Ducale di Urbino – che come un grande trompe l’œil ne estende la visione oltre le tele in cui è spesso raffigurato – tratteggia un profilo esaustivo di Federico Barocci, risaltandone il valore.
I sei nuclei narrativi, disposti in ordine cronologico, illustrano il contesto culturale dell’epoca, per poi entrare nel vivo della sua produzione con le grandi pale d’altare legate ai committenti religiosi. Emblematica è la Deposizione per il Duomo di Perugia, in cui emerge la struttura musicale della composizione, accompagnata dalla perpetua grazia delle espressioni e dei colori. Natura ed affetti caratterizzano la terza sezione, espressi anche attraverso la frequente inclusione di piccoli animali – cagnolini, uccellini, o gatti – che coabitano la scena. Si prosegue poi nel tempo, fino alla conclusione della mostra, pensata nell’appartamento roveresco al secondo piano.
Due brani espositivi sono dedicati ai disegni preparatori e all’attività grafica di Barocci. Come emerge dalla mostra, ogni aspetto delle opere finali è accuratamente studiato e provato a più riprese su carta, alternando carboncino, pastelli e olio. L’idea compositiva è verificata in concreto – si racconta facesse posare gli allievi per assicurarsi gesti naturali e non forzati –, e solo poi trasferita su tela. Lo stesso vale per le luci e i colori: provati in miniatura per rendere al meglio la dolcezza caratteristica della Cristiana Letizia quale ideale di fede umile fonte di gioia. Un capitolo a sé hanno infine le quattro incisioni, realizzate a morsure replicate. Una variante di acquaforte che avvicina la grafica alla pittura, ammorbidendone l’impatto chiaroscurale, quale innovazione assoluta per l’epoca.
Autore: Emma Sedini
Fonte: artribune.com 3 set 2024